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In questo Numero :
Umiltà intellettuale
Chi è piu portato per lavorare a distanza?
Caro Capo ti scrivo. Una lettera interessante.
Giovanna ci racconta della collaborazione nella P.A.
Usi Google Keep?
Buona Lettura.
L’umiltà intellettuale per collaborare meglio. Ecco cos’è e come funziona.
L'umiltà intellettuale che potrebbe darci una mano.
Con la precisione che solo l'arcano algoritmo che mi fa incappare nelle notizie della mia "Filter Bubble", discorrendo di persone che chiedono di confermare competenze sconosciute o addirittura inesistenti, ecco che Fast Company scrive di come trattare con le persone che in azienda fingono di sapere ciò che in realtà non sanno.
Mi è sembrata un buon argomento visto i temi dei conflitti e della collaborazione di cui scrivo e tratto da un bel pò e quindi da lì sono ripartito per approfondire.
La questione di dover affrontare persone che fingono di sapere qualcosa che in realtà non sanno è una sfida comune nella vita di tutti i giorni.
Addirittura a volte siamo noi a non sapere.
Sono io.
Come mi impongo di comportarmi in ambienti in cui fare finta di sapere è comune?
Ecco una lista e se qualcuno avesse qualche spunto da aggiungere sarebbe meraviglioso.
1. Promuovo un ambiente di apprendimento continuo che valorizzi il miglioramento costante e l'aggiornamento delle competenze.
2. Sono disposto a riconoscere apertamente ciò che non so.
Mi impegno nel colmare le lacune attraverso lo studio e la ricerca.
3. Spiego agli altri il valore di essere chiari su ciò che che si sa e su ciò che non si sa.
4. Evito di porre domande che presuppongono una risposta affermativa.
5 . Quando noto una costante mancanza di volontà nel riconoscere la propria ignoranza, avvio una conversazione focalizzata su tale comportamento.
6. Offro informazioni aggiuntive e creo spazio per richieste di approfondimento, in modo che gli altri si sentano liberi di chiedere ulteriori chiarimenti.
7 . Mostro interesse nel comprendere come i miei colleghi affrontano le sfide e condivido reciprocamente idee e prospettive per individuare le competenze che potrebbero essere sviluppate per migliorare l'efficacia del lavoro svolto.
8. Favorisco un clima di apertura e fiducia in cui le persone si sentano a loro agio nel riconoscere le proprie lacune e chiedere aiuto.
9. Promuovo la condivisione delle competenze creando opportunità di apprendimento reciproco.
10. Fornisco feedback costruttivi in modo da incoraggiare una maggiore onestà intellettuale e la volontà di imparare.
Ma soprattutto :
11. Valorizzo, o ci provo, l'umiltà intellettuale.
Riconoscere e apprezzare le persone che sono disposte ad ammettere ciò che non sanno e che sono aperte all'apprendimento continuo mi pare un bellissimo modo di fare pace con decenni di presuntuosa "sbruffonaggine" manageriale e professionale.
In cui valeva la massima "fake until you make it".
Promuovere una cultura della sincerità sulle competenze sembra essere, in un mondo che si dimostra sempre più teso, la strategia più sostenibile e remunerativa.
Chi preferisce il lavoro in presenza e chi da casa. Una indagine dice che…
Intanto parto con il ringraziare Davide Genta per la sua capacità di scoprire studi sempre interessanti e scientificamente solidi. Insieme, abbiamo avuto una ricca e stimolante discussione su un paper di Adrian Furnham, Stephen Cuppello e David S. Semmelink (DOI: 10.1007/s12144-024-06358-x), che esplora chi preferisce lavorare da casa (WFH - Work From Home). Le riflessioni che seguono sono il frutto di questa conversazione e del confronto che abbiamo avuto.
Attraverso 1185 test di personalità HPTI e misura dell’autostima su adulti di vari settori e paesi e verificandone correlazioni e regressioni per identificare i fattori demografici e di personalità associati alla preferenza per WFH …pervengono alle seguenti conclusioni:
Le persone meno adattabili, coscienziose e con minor propensione al rischio preferiscono il WFH.
I fattori più influenti sono sesso, livello di istruzione e coscienziosità. Che li portano a sostenere che il loro campione fa prevalere, come soggetti che preferiscono il WFH le donne, i laureati e le persone con orientamenti politici di sinistra.
Ovviamente le indagini
Da parte nostra, e uso il noi perchè concordo con Davide sulle riflessioni fatte su questa indagine , non vediamo il WFH come una vera "evoluzione" del mondo del lavoro, ma piuttosto come una modalità che è sempre esistita, oggi semplicemente amplificata dalle tecnologie moderne. Tuttavia, non riteniamo che debba essere considerata né la panacea dei problemi lavorativi, né un pericolo da evitare a tutti i costi. È una modalità di lavoro, con i suoi pregi e i suoi limiti.
Conclusioni pratiche che abbiamo condiviso:
Ogni azienda deve scegliere la modalità di lavoro più adatta alle proprie necessità e sopravvivenza, individuando le persone in sintonia con quel modello. Il fit tra azienda e lavoratore diventa fondamentale.
Il WFH può essere adatto a determinati profili, ma non per tutti. Comprendere le preferenze dei lavoratori è fondamentale per sviluppare politiche di lavoro flessibili ed efficaci.
Esiste il rischio che il WFH, se adottato in modo massiccio, possa creare nuove divisioni sociali. L'alienazione può essere una realtà anche nel lavoro da casa, ma questo non significa che sia l'unico modello da valutare.
Infine, abbiamo concordato che la collaborazione, in questo scenario, diventa sempre più necessaria. Anche se il WFH offre la possibilità di lavorare in solitudine e autonomia, nessuna organizzazione può prosperare senza una forte componente collaborativa. Trovare un equilibrio tra la flessibilità del lavoro da casa e la necessità di socializzare e collaborare è cruciale per costruire team forti e coesi, capaci di affrontare le sfide future.
Ringrazio nuovamente Davide per il contributo e per aver reso questa discussione così stimolante e ricca di spunti. Il dialogo aperto e il confronto di idee rimangono sempre strumenti indispensabili per crescere e migliorare, soprattutto in un mondo del lavoro in continua evoluzione.
L’indagine è stata condotta così: Gran Bretagna (53%), Sud Africa (14%), Canada (10%), USA (8%), Europa (5%), Australia e Nuova Zelanda (4%), vari paesi asiatici (4%) e il 2% da altre regioni. L'età media del campione era di 46,1 anni (SD = 11,4). Il più giovane partecipante aveva 18 anni e il più anziano 74. La maggior parte dei rispondenti (66%) ha dichiarato di aver conseguito una laurea.
Caro Capo ti scrivo…una lettera utile.
Caro capo,
Ti scrivo perché un amico del team – non ti dirò chi, ma ti assicuro che è qualcuno di cui ti fidi – mi ha fatto notare alcune cose interessanti che potrebbero davvero aiutarci a migliorare la nostra collaborazione. Lascio a te trarre le conclusioni, ma mi sembra che ci siano alcuni spunti utili:
Sì, i problemi esistono, anche se nessuno ne parla.
Il mio amico mi ha detto che nel team ci sono questioni irrisolte di cui tutti sono consapevoli, ma nessuno osa affrontarle. Ignorarle non le farà scomparire, anzi, prima o poi ci scoppieranno in mano.
La paura di affrontare certi argomenti è l'ostacolo.
C’è questo blocco mentale: “Meglio non sollevare il problema per non creare tensioni”. Ma alla fine è proprio questo silenzio che genera frustrazione e incomprensioni.
Le tue reazioni sono sotto osservazione.
Il mio amico ha detto che, giustamente, tutti guardano a come reagisci quando emergono difficoltà. Se ti mostri aperto e calmo, sarà più facile per tutti parlare. Se invece percepiscono nervosismo, si chiudono a riccio.
Un po’ di chiarezza non guasta mai.
Il suggerimento è di essere super chiaro sui motivi per cui certi argomenti devono essere affrontati. Quando capiamo che c’è un obiettivo comune e non un pretesto per criticare, tutto diventa più facile da digerire.
La trasparenza può fare miracoli.
Il mio amico ha detto che il team a volte percepisce che ci sono informazioni che rimangono in alto, e questo crea distanza. Aprirsi di più e condividere le preoccupazioni sarebbe un bel segnale di fiducia.
Le riunioni individuali sono il momento giusto per andare oltre.
Così potremmo parlare non solo delle performance, ma anche delle difficoltà nascoste che impediscono al team di funzionare al meglio. A volte è proprio lì che si nascondono le verità più importanti.
Fai le domande scomode, ma necessarie.
Una domanda del tipo: “C’è qualcosa che non sto vedendo?” potrebbe aprire un mondo di informazioni. Il mio amico dice che molti di noi si tengono dentro cose che potrebbero davvero fare la differenza.
Le nuove prospettive non fanno mai male.
Il mio amico ha anche notato che spesso i nuovi membri del team vedono cose che noi, ormai abituati alla routine, non vediamo più. Chiedere di più il loro parere potrebbe rivelarsi illuminante.
I problemi vanno affrontati di petto, non girandoci intorno.
Se c’è qualcosa che tutti evitano di dire, forse dovremmo metterlo sul tavolo e discuterne apertamente. Il mio amico dice che solo così possiamo evitare che il problema cresca fino a diventare ingestibile.
L’azione è la vera svolta.
Alla fine, parlare è solo una parte del processo. Il mio amico ha detto che senza azioni concrete, tutto resta fermo. Dobbiamo trasformare le conversazioni in passi concreti.
Ora, il mio amico mi ha chiesto di non rivelare chi è, perché anche lui – come molti di noi – teme le conseguenze di essere troppo diretto.
Ecco, forse è proprio questo il vero problema: la paura.
Un caro saluto.
Il tuo collaboratore, La tua Collaboratrice.
Risponderò pubblicamente sulla newsletter anche ai messaggi più interessanti inviati a sebastianozanollicommunity@gmail.com o in chat su substack e pubblicherò i contributi più stimolanti in modo da avere i vostri commenti a piè di pagina e portare ulteriore valore aggiunto ai 2500 iscritti.
Ed ecco una delle email ricevute che mi ha colpito di più, da Giovanna (nome di fantasia).
Ciao Sebastiano. Ti parlo dello Smart working nella Pubblica Amministrazione.
Ciao Sebastiano,
eccomi qui, tua affezionata lettrice di newsletter.
volevo darti il mio punto di vista sullo smart working nella Pubblica Amministrazione.
Qui è visto come il male assoluto, ci hanno messo in smart solo quando non si poteva fare altrimenti, nel momento peggiore del covid e solo a giorni alterni, dato che ci ammassano in stanze pollaio.
Perchè qui per sapere che lavori devono vederti davanti a una scrivania, con la sedia sotto il culo. Poi magari non produci nulla, ma lavori perchè ci sei.
E questa è una cosa a parer mio assurda, che però si sposa con la totale incapacità delle strutture pubbliche di lavorare per obiettivi (magari ce ne sono di illuminate, ma io ancora non ci sono passata).
Detto questo, per me è stato il paradiso in terra, perchè, da neurodivergente, ho potuto organizzarmi il lavoro secondo i miei ritmi e le mie capacità. Ovvero, lavoravo la metà del tempo e avevo il resto per badare alla casa, leggere, studiare. Mai stata così produttiva.
Purtroppo, se sei una persona cognitivamente dotata, in PA la vita è dura. Non puoi lavorare ai tuoi veri ritmi, perchè da un lato faresti la gioia dei dirigenti, ma dall'altro ti faresti odiare da tutti i colleghi, ed inoltre, dato che spesso siamo poco abili nelle relazioni umane, finiamo per lavorare come matti e non ricevere nessuna gratificazione (a detta di tante persone io mi distinguo assolutamente da tutti per capacità, intuito, velocità, ma fino ad ora ho ricevuto, in tanti anni, un solo scatto e di anzianità. Probabilmente non avere santi in paradiso e anche questo fatto per cui io spesso mi sono sentita più stupida degli altri (un altro dei meravigliosi paradossi della giftedness) per cui tendo a sminuire le cose che faccio, non ha giocato a favore di una mia gratificazione in termini economici.
Lo smart, almeno, era la gratificazione in termini di qualità di vita. Ecco, è vero tutto quello che dici, dell'importanza della presenza, e lo apprezzavo nei momenti in cui ero in ufficio, ma è anche vero che non siamo tutti uguali, e che un mondo del lavoro (come prima un mondo della scuola, e qui parlo da madre di figli dislessici) che ci vuole tutti uguali e allineati tende ad "espellere" quelli che stanno ai margini della forbice, perdendo comunque quella diversità che in alcuni casi può fare una differenza significativa.
Grazie
Giovanna
Ciao Giovanna,
grazie per aver condiviso la tua esperienza con così tanta trasparenza e lucidità. Il tuo punto di vista sullo smart working nella pubblica amministrazione solleva questioni importanti, che vanno ben oltre il singolo contesto.
La rigidità di certi ambienti e l'incapacità di valorizzare le persone in base alle loro competenze e ai loro ritmi è un problema che, purtroppo, tocca molte realtà.
Riconosco quanto sia difficile lavorare in un sistema che non premia né la velocità né l'intuito, e soprattutto quanto possa essere frustrante per chi ha tanto da offrire. Eppure, nonostante tutto, sei riuscita a trovare una tua dimensione nello smart working, sfruttando la tua neurodivergenza come una forza.
Non mollare, Giovanna mi verrebbe da dire.
O molla solo quando sei sicura della tua decisione.
Anche se le circostanze attuali sembrano limitanti, il fatto che tu abbia trovato una tua modalità di essere produttiva e di conciliare il lavoro con la tua vita personale è una grande vittoria.
Continua a coltivare la tua consapevolezza, a difendere il tuo valore e a cercare spazi dove la diversità è vista come una risorsa, non come un ostacolo.
Ti ringrazio ancora per il tuo messaggio, perché porta alla luce una questione di cui spesso si parla troppo poco: la necessità di ambienti di lavoro che sappiano accogliere e valorizzare tutte le forme di talento.
E voi, cosa ne pensate? Avete vissuto esperienze simili o completamente diverse? C'è qualcosa che vi ha colpito nel racconto di Giovanna e che vorreste condividere?
Mi piacerebbe leggere le vostre opinioni o riflessioni su questo tema.
Grazie un abbraccio.
Avanti sempre.
APP UTILI: GOOGLE KEEP. Se non hai grandi necessità è aiuta a collaborare online e soprattutto è gratis.
Se stai cercando uno strumento per collaborare in remoto, Google Keep può essere una scelta interessante. Non è solo un'app per prendere appunti personali, ma consente anche di condividere note e liste con colleghi o amici, permettendo loro di modificare in tempo reale. Questo è utile per attività di gruppo o brainstorming a distanza, poiché tutte le modifiche sono immediatamente visibili a tutti i partecipanti.
Con Google Keep puoi creare note e liste di controllo, aggiungere promemoria basati su scadenze o posizioni e anche allegare immagini o disegni. Puoi inoltre organizzare le note con etichette e colori, rendendo più semplice ritrovare i progetti condivisi.
Un altro punto forte è la sua integrazione con Google Calendar, dove puoi impostare promemoria visibili a tutti, assicurandoti che nessuna scadenza venga dimenticata. E la cosa migliore è che tutto ciò è gratuito, accessibile da qualsiasi dispositivo e funziona anche offline, sincronizzando le note appena ritorni online.
Ovviamente questa non è una ADV ma solo frutto di una mia esperienza.
Se vuoi approfondire come usarlo al meglio, ecco una guida che ho scovato su
Punto Informatico o ChimeraRevo .
Siamo arrivati alla fine di questa edizione. A presto. E buone collaborazioni. :)
sebastiano.
“La partecipazione: ecco cosa salverà la razza umana”.
Pete Seeger