Buona fine e buon principio a tutti/e.
Da un lato, c’è la felicità del momento.Dall’altro, c’è la felicità che si costruisce nel tempo, quella che Viktor Frankl chiamava “la ricerca di significato”. Buona ricerca.
Metti un like e condividi perché il 2025 sarà l’anno in cui collaborare diventerà ancora più utile. Per tutti.
E così eccoci qui, sull’orlo del 2025.
Pronti a lasciarci alle spalle dubbi e tentennamenti, perché se c’è una cosa che ormai abbiamo imparato, è che collaborare non è solo utile: è necessario. Non è un esperimento o un’opzione, ma l’unico modo per affrontare un mondo che si muove più veloce di noi, un modo per dare forma al caos e trasformarlo in qualcosa di significativo.
Mettere insieme idee, visioni, energie – e sì, anche differenze – funziona. È così che si costruiscono ponti dove c’erano abissi, soluzioni dove c’erano problemi, e un senso condiviso dove prima c’era solo frammentazione. Collaborare non è solo una speranza: è il metodo.
Quindi avanti, verso un 2025 in cui ci impegniamo non solo a fare il nostro meglio, ma a farlo insieme. Perché insieme non si tratta solo di andare lontano: si tratta di costruire qualcosa che valga davvero la pena di vivere.
Valori e aspettative di ogni generazione: chiudere l’anno, aprire il futuro
Ogni generazione è un prisma unico, fatto di angoli, riflessi, sfaccettature. Attraverso di esso il mondo viene osservato e interpretato: valori, convinzioni e aspettative forgiate da esperienze storiche e sociali. È il modo in cui ognuno si orienta nel caos. Ecco perché comprendere le differenze tra generazioni non è un esercizio accademico, ma un gesto pratico e necessario.
Riconoscere che vediamo il mondo da prospettive diverse è solo il primo passo. Il vero lavoro è trasformare quelle prospettive in un punto di incontro. È costruire un ponte dove c’era un muro. È il genere di idea che sembra facile nelle parole ma difficile nei fatti, come tutto ciò che richiede impegno reale.
In fondo, questo momento dell’anno ci invita a qualcosa di simile. Il fine anno è un bilancio: i traguardi raggiunti, gli errori fatti, le aspettative disattese. Ma soprattutto è un momento per guardare avanti e chiedersi: cosa vogliamo costruire insieme?
La risposta, forse, sta nella ricerca di un significato più ampio. Essere felici, come individui e come collettivo, è una delle aspirazioni più universali. Ma non tutti interpretano la felicità allo stesso modo. Da un lato, c’è la felicità del momento: la gratificazione di un successo, il piacere di un risultato raggiunto. È il regno dell’istantaneo, importante ma fugace. Dall’altro, c’è la felicità che si costruisce nel tempo, quella che Viktor Frankl chiamava “la ricerca di significato”. Non è la gioia di un attimo, ma il senso di far parte di qualcosa di più grande, di avere uno scopo condiviso.
Ecco dove il dialogo intergenerazionale diventa cruciale. Da un lato, c’è la necessità di trovare un’intesa immediata per risolvere problemi sul breve termine. Ma il vero cambiamento si verifica quando si sceglie di costruire un legame più profondo, che duri nel tempo.
Il fine anno, con il suo carico di riflessione e attesa, è il momento perfetto per trasformare i muri in ponti. È un invito a riconoscere che, pur con tutte le differenze, giovani e senior appartengono alla stessa comunità umana. Tutti, in fondo, affrontano le stesse domande: chi siamo? Dove stiamo andando? Come possiamo costruire un futuro che superi le divisioni?
In questo tempo di bilanci e nuovi inizi, cercare il dialogo intergenerazionale non è solo una strategia per lavorare meglio. È un atto di visione collettiva. È il piacere di vedere pezzi apparentemente lontani che si incastrano per formare un’immagine più grande. È il brivido di costruire qualcosa che non si esaurisce nel presente, ma abbraccia passato e futuro, un frammento alla volta.
Mentre chiudiamo questo anno, pensiamo a cosa possiamo portare nel prossimo. Non solo obiettivi e numeri, ma il senso di appartenenza a un progetto comune. Un futuro in cui ogni generazione, con il proprio prisma, illumina un pezzo del cammino.
E così, come si dice nei cantieri e nei sogni, iniziamo insieme.
In questa newsletter :
"Il CEO di NVIDIA svela il segreto per eliminare le riunioni 1:1 e far crescere il team più velocemente"
La visione di Jensen Huang su feedback e trasparenza collettiva come strumenti di crescita per i team e le organizzazioni.Perché l’umiltà può trasformare il tuo modo di lavorare (e vivere)
Una riflessione sull’umiltà come virtù centrale per collaborare meglio, rafforzare le relazioni e affrontare le sfide con equilibrio.La terza parte della vita: un’opportunità straordinaria per reinventarsi e fare la tua grande differenza
Un nuovo sguardo sulla “terza età” come fase di crescita, impatto sociale e trasformazione personale, con ispirazioni dai programmi accademici internazionali.
Buona lettura.
E se pensi che siano temi che qualcuno può trovare utili … condividila.:)
Ancora pochi giorni per imparare da Riccardo Scandellari come fare di se stessi un Brand .
"Il CEO di NVIDIA svela il segreto per eliminare i meeting uno a uno e far crescere il team più velocemente"
Jensen Huang, il visionario CEO di NVIDIA, è uno di quei leader che, invece di camminare sui sentieri già battuti, preferisce attraversare il bosco. La sua scelta di avere sessanta riporti diretti è già abbastanza insolita. Ma il vero scarto avviene quando spiega perché non crede nei meeting uno a uno.
In un’intervista raccolta da Startup Archive (30 maggio 2024, “NVIDIA CEO Jensen Huang: I really discourage 1-on-1s”), Huang articola il suo pensiero con la precisione di chi si è posto molte domande:
“Non faccio meeting uno a uno, e quasi tutto quello che dico lo dico a tutti, sempre. Non credo ci siano informazioni che debbano essere riservate a una o due persone... Quando dai a tutti accesso uguale alle informazioni, li potenzi. E poi, se hai 60 riporti diretti, probabilmente hai eliminato sette livelli gerarchici.”
Patrick Collison, fondatore di Stripe, gli oppone l’idea che le riunioni individuali siano cruciali:
“I meeting uno a uno sono momenti per offrire coaching, parlare di obiettivi personali, affrontare quelle dinamiche sottili che richiedono attenzione discreta. Non fai queste cose o le gestisci diversamente?”
Ed è qui che Huang porta l’argomentazione su un terreno diverso, forse più radicale:
“Do feedback davanti a tutti. Ricevere feedback è apprendimento, quindi perché dovresti essere l’unico a imparare? Tutti possono beneficiare di quell’opportunità... A volte mi sbaglio, ma ragionare pubblicamente aiuta tutti a imparare a ragionare. Il problema dei meeting uno a uno è che privano molte persone della stessa lezione. Imparare dagli errori degli altri è il miglior modo di imparare.”
Huang sposta il baricentro dal rapporto individuale all’intelligenza collettiva. Non è solo trasparenza; è una dichiarazione di fiducia nel gruppo, un patto implicito che dice: siamo qui per imparare insieme, anche dai miei errori.
Ma questa filosofia funziona davvero per tutti? In quanti contesti un team accoglierebbe con entusiasmo il feedback pubblico senza innescare tensioni, malumori, o quella sottile arte del fraintendimento?
Alla fine, la domanda è questa: quanto siamo disposti a lasciare il riparo della conversazione privata per affrontare la nuda vulnerabilità del confronto pubblico? Huang ha scelto il bosco. Noi, forse, siamo ancora sulla strada principale, a interrogarci se siamo pronti a seguirlo.
Leggi l’articolo originale su Startup Archive.
“Perché l’umiltà può trasformare il tuo modo di lavorare (e vivere)”.
L'umiltà: una qualità rara, ma essenziale
Ho letto un interessante articolo di Allie Volpe sull’umiltà, gentilmente inoltratomi dalla mia amica Chiara (grazie!). Provo a condividerne una sintesi e alcune riflessioni, sperando che possano essere utili, anche in un momento dell’anno in cui molti stanno già pensando alle ferie.
L'umiltà è una qualità spesso fraintesa. Non dovrebbe essere vista come debolezza, ma come una forza equilibrata, una capacità di essere tolleranti in un mondo che tende al giudizio rapido. È una virtù rara, ma fondamentale, tanto che la sua scomparsa potrebbe mettere in crisi il modo stesso in cui interagiamo come specie.
Cosa significa essere umili
L'umiltà significa innanzitutto conoscere se stessi: accettare i propri limiti, valorizzare i propri talenti e avere il coraggio di ascoltare, imparare e crescere. Non è un atteggiamento passivo, ma uno strumento concreto per:
Creare collaborazioni efficaci, evitando il rischio del narcisismo sterile.
Migliorare le relazioni, costruendo ponti in un mondo frammentato.
Favorire il perdono, un elemento chiave per il successo di ogni organizzazione e relazione.
L'umiltà come strumento di connessione
Nelle relazioni, l’umiltà si manifesta nel mettere al centro il bene dell’altro:
Ascoltare con attenzione.
Riflettere sugli errori passati per evitare di ripeterli.
Non usarla come scusa per reprimere chi cerca giustamente di affermarsi, ma come esempio positivo per migliorare il confronto.
Certo, l’umiltà non è sempre la risposta giusta. Con persone arroganti o egoiste, a volte serve più coraggio che umiltà. In questi casi, l’umiltà dovrebbe partire da noi stessi, senza essere imposta agli altri.
Essere “intelligentemente umili” in pratica
Ma cosa significa, concretamente, coltivare l’umiltà in modo sano e produttivo?
Accettare i propri errori senza cercare giustificazioni.
Concedere spazio agli altri, valorizzando le loro prospettive.
Coltivare empatia, mettendo i bisogni collettivi davanti agli impulsi egoistici.
Bilanciare umiltà e orgoglio: essere fieri dei propri risultati, ma riconoscere e apprezzare il contributo degli altri.
L'umiltà in azione
L'umiltà non è solo un’idea, ma un’abilità concreta che possiamo esercitare:
Chiedere feedback autentici, per superare l’illusione di conoscerci davvero.
Riflettere sugli errori, trattandoli come opportunità per migliorare relazioni e processi.
Ascoltare profondamente, spostando il focus dal “io” al “noi”.
Quando affrontiamo sfide lavorative, l'umiltà è la base per riconoscere e rispettare il valore altrui, un elemento indispensabile per costruire qualsiasi successo condiviso.
Forse non è semplice, ma è un punto di partenza.
“La terza parte della vita: un’opportunità straordinaria per reinventarsi e fare la tua grande differenza”.
La nostra società sta cambiando, e con essa il concetto di “terza età”. Sempre più spesso, il periodo che segue la carriera professionale tradizionale non viene vissuto come un traguardo finale, ma come una nuova fase di possibilità e crescita. È il momento di guardare al “terzo capitolo” della vita non come una fine, ma come un’opportunità per lasciare un segno e contribuire al mondo in modo significativo.
Un esempio che può ispirare ci arriva dall’articolo del Financial Times (lo allego nei commenti), “Ex-execs Go Back to University”, che esplora programmi accademici pensati per professionisti di mezza età che vogliono trasformare le loro competenze in iniziative di impatto sociale. Tra questi spicca l’Advanced Leadership Initiative (ALI) di Harvard, che offre percorsi di un anno per dirigenti di alto livello, spesso sessantenni, desiderosi di affrontare sfide globali come la salute pubblica, la giustizia sociale e la sostenibilità ambientale.
Reinventare la terza età: un modello ispiratore
Programmi come ALI consentono ai partecipanti di combinare la loro esperienza professionale con risorse accademiche per sviluppare progetti concreti, contribuendo al bene collettivo. Dal 2008, oltre 700 alumni hanno completato questo percorso, realizzando progetti che spaziano dalla ri-forestazione alla tutela dei diritti dei migranti.
Questi percorsi non si limitano a offrire un modo per rimanere attivi, ma promuovono un vero e proprio cambiamento culturale: trasformare la pensione in un periodo di crescita e impatto.
Anche università come quelle di Stanford e Notre Dame hanno sviluppato programmi simili, ciascuno con un approccio unico. Stanford pone l’accento sul benessere personale e la costruzione di comunità, mentre Notre Dame enfatizza la spiritualità e il senso di scopo per i partecipanti.
Un modello applicabile a tutti
Si potrebbe pensare che questi modelli siano un’ispirazione solo per chi ha accesso a università di prestigio, ma in realtà indicano una via. Reinventarsi nella terza età significa investire nelle proprie competenze, metterle al servizio degli altri e, soprattutto, trovare un significato più profondo nella vita.
Un’opportunità per le aziende e le istituzioni
Questi programmi dimostrano che l’esperienza dei professionisti senior non è un fardello, ma una risorsa preziosa. Integrare l’esperienza dei più anziani con l’energia dei giovani può creare opportunità incredibili, sia sul piano professionale che sociale.
Ripensare la terza età
È tempo di ripensare il significato della terza parte della vita. Non è solo un momento per riposarsi, ma un’opportunità per contribuire, imparare e crescere. Potremmo – e forse dovremmo – ridefinire il concetto di pensione, trasformandolo in un periodo di impatto e significato.
Ma quando comincia il terzo capitolo della vita secondo te? E in Italia tutto questo ha possibilità di realizzarsi?
Ed eccoci arrivati alla fine di questa newsletter. Come dicevo all’inizio questa è anche anche l’ultima edizione del 2024.
Grazie ancora per essere stati con me fino ad ora.
Ci incontriamo di nuovo nel 2025.
A tutti voi augurio di buon anno. 😊🥂
Qualsiasi feedback è apprezzato. E se metti un like mi aiuterai a farla conoscere,
“Un giorno faranno la guerra e nessuno ci andrà.”
Carl August Sandburg
Un caro abbraccio a te Sebastiano e a tutti coloro che come me ti leggono con immenso piacere. Buon nuovo anno
Ti ringrazio per la tua saggezza, la tua chiarezza, la grazia e delicatezza, acume e profondità, umiltà e coraggio. Che inizi un anno di speranza e cambiamenti e che INSIEME diventi una parola importante. Buon 2025 Sebastiano ❤️🙏🏼