Come non perdersi (davvero) nel lavoro che cambia.
Strumenti pratici e storie vere per chi crede ancora nella collaborazione.
Buongiorno e per domani vi vorrei augurare buon Primo Maggio soprattutto perché non ci si salva da soli in un mondo complesso.
Tutto sembra vacillare – la politica, l’economia, i legami sociali – e il Primo Maggio arriva come una pietra miliare che costringe a fermarsi. Non per celebrare in modo rituale o ideologico, ma per riflettere su un fatto semplice e duro: il lavoro è cambiato e sta ancora cambiando. E insieme a esso cambiano le comunità che lo rendono possibile.
La storia stessa del Primo Maggio nasce da un bisogno collettivo: non solo ottenere diritti, ma farlo insieme. Nasce dalla consapevolezza che nessun singolo lavoratore, per quanto capace o determinato, avrebbe potuto cambiare da solo condizioni inique. Quella lezione è ancora attuale, anzi oggi è ancora più urgente.
Viviamo tempi in cui la capacità di comprendersi sembra essersi incrinata. Gli spazi della comunità si riducono, travolti da crisi, trasformazioni tecnologiche e un senso di precarietà che scava solchi tra le persone. La tentazione di chiudersi, di salvare solo sé stessi, è forte. Ma il lavoro, quello vero, quello che costruisce dignità e futuro, continua a insegnarci che non ci si salva da soli.
Collaborare non è un lusso. È una necessità vitale sia che si voglia lavorare di più o di meno.
Una comunicazione aperta, il rispetto delle diversità, la capacità di co-creare superando conflitti e differenze generazionali: sono queste le fondamenta di un lavoro che non sia solo fatica o sopravvivenza, ma anche costruzione di qualcosa che valga la pena vivere.
Oggi, più che mai, celebrare il Primo Maggio può voler dire questo: rinnovare l’impegno a creare ambienti di lavoro giusti, inclusivi, capaci di generare benessere e innovazione non contro le persone, ma insieme alle persone.
Ambienti che non si limitano a trattenere talenti, ma che coltivano relazioni umane, fiducia, senso di appartenenza.
Non è una visione ingenua. È un atto di realismo: nella complessità che ci attraversa, la collaborazione è l’unico strumento concreto che abbiamo per non smarrirci del tutto.
Il Primo Maggio, allora, non è solo memoria. È anche promessa.
La promessa che, nonostante tutto, non smetteremo di costruire legami, di ascoltarci, di provare a comprenderci.
Perché il lavoro cambia, il mondo cambia, ma una cosa rimane: il futuro non si costruisce da soli
Ecco il sommario :
Quando insistere? Quando lasciare andare? Una indicazione per chi guida persone.
Ho chiesto ad Antonio Losito un mini manuale semiserio per sabotatori aziendali (che fingono di collaborare). Eccolo.
Ai Podcast della Grande Differenza : Daniele Cassioli. Un campione in tutti sensi.
👉 Perché leggerla (e condividerla)?
Questi spunti non sono solo teoria: sono strumenti pratici per rendere il nostro lavoro e la nostra vita meno isolati, più efficaci e più umani.
Leggi, applica e, se trovi qualcosa di utile, condividilo con chi ne ha bisogno. Perché, alla fine, nessuno costruisce qualcosa di grande da solo.
Se ti stai chiedendo come affrontare tutto questo casino senza diventare un cinico o alzare bandiera bianca, respira. Non sei sola. Davvero.
Quando insistere?
Quando lasciare andare?
Una indicazione per chi guida persone.
Mi capita spesso, durante sessioni con team di vendita, di sentire questa domanda:
“Secondo te, vale la pena fare coaching su questa persona?”
Una domanda semplice. Ma che chiama in causa due dilemmi cruciali per chi guida collaboratori:
- quella persona è disposta a crescere, oppure si è già chiusa?
- è capace di mettere in pratica con costanza quello che impara?
Spesso si parla di “competenza” e “motivazione”. Ma non bastano.
Allora ho provato a ragionare con due assi più operativi:
- Disponibilità a migliorare: quanto la persona è aperta al cambiamento, accetta feedback, si mette in gioco.
- Affidabilità nell’esecuzione: quanto è costante, regolare, focalizzata nei comportamenti richiesti.
Ne nasce una matrice con quattro quadranti:
1. Investimento sicuro
Chi vuole crescere e sa essere costante.
Coaching, affiancamento, responsabilità: tutto qui rende.
2. Potenziale incostante
Chi ha voglia ma non regge il passo.
Hanno bisogno di struttura, chiarezza, mentoring.
3. Risorsa tecnica
Portano risultati, ma non vogliono cambiare.
A volte vanno semplicemente gestiti. Ma occhio: possono bloccare l’innovazione.
4. Caso perso
Non fanno, non vogliono fare.
Continuare a investire qui è una forma di ingiustizia verso chi si impegna davvero.
Naturalmente le persone evolvono, e nessuna matrice è una gabbia.
Ma serve a mettere a fuoco:
con chi ha senso collaborare per crescere.
E con chi no.
La collaborazione, nei team di vendita e in azienda, non è una parola astratta.
È la capacità di riconoscere i diversi livelli di impegno e apertura dei propri colleghi.
E di agire di conseguenza.
Non per giudicare, ma per scegliere dove mettere tempo, energia, attenzione.
Perché una cosa è certa: non tutte le persone sono allenabili.
E capire in fretta chi può migliorare e chi no è un atto di responsabilità, non di cinismo.
Ho chiesto ad Antonio Losito un mini manuale semiserio per sabotatori aziendali (che fingono di collaborare). Eccolo.
Nelle aziende si parla spesso di collaborazione, come se fosse una questione di buona volontà. Ma basta poco per sabotarla. Non con un complotto mondiale, ma con una scrollata di spalle, un sopracciglio alzato o un silenzio ben calibrato.
Per questo ho chiesto ad Antonio Losito – autore satirico, esperto di disinformazione e narratore di assurdità contemporanee – di scrivere un post per questa newsletter. Antonio parte da una fake news surreale, ma vera: il caso dei laser e degli incendi alle Hawaii. Poi la trasforma in una riflessione tagliente su come anche dentro le aziende si possano diffondere narrazioni tossiche, meme invisibili che erodono fiducia e collaborazione. Il tutto con un’ironia che punge ma non graffia, e ci obbliga a guardarci allo specchio.
Buona lettura.
Perché milioni di americani pensano che Oprah Winfrey sia una piromane che lancia i raggi laser?
(e perché c’entra con la tua azienda?)
Al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia ho raccontato un capolavoro della disinformazione:
Gli incendi alle Hawaii nel 2023? Causati da un raggio laser con la regia di Obama e Oprah Winfrey.
Ideatori: Xi Jinping e Putin (fact-checking: Newsguard, BBC, Washington post)
Obiettivo dei tiranni: attraverso i troll creare sfiducia nelle istituzioni democratiche. Oggi una fake news fa più di un carrarmato.
Ecco il kit del perfetto disinformatore, testato su milioni di visualizzazioni:
1. Prendi un evento complesso e semplificalo. Clima, siccità, cambiamento climatico? Vero ma troppo difficile. Meglio: un raggio laser creato da un complotto delle élite (in questo caso Obama e Oprah Winfrey che hanno ville alle Hawaii. Coincidenze?)
2. Insinua a caso I post dei troll su X dicevano: “e come mai la villa di Obama non è stata toccata dagli incendi?” A uno di questi post ha replicato un giornalista della CNN: “perché è a 100 miglia dagli incendi, you dumb motherfucker” (che significa “sono un giornalista della Cnn”)
3) Diffondi immagini suggestive.
Per creare l’effetto raggio laser in tempi in cui non esisteva l’intelligenza artificiale, i troll tirannici hanno usato la foto di lancio di un satellite Space X avvenuto 5 anni prima in California. La scia luminosa lasciata dal satellite era un perfetto raggio laser che colpiva il terreno.
4. Usa il copy giusto
Accompagna le immagini fake con un testo ingaggiante: “Potete spiegarmi cos’è questo?” o “Perché prima degli incendi si è visto questo raggio laser?”. Questi due esempi di copy hanno ottenuto milioni di cuoricini e quindi funzionano.
5. Fornisci un motivo valido alla tua tesi
Incendi creati per una “land grab” (esproprio di terre) o per favorire progetti immobiliari o energetici delle élite.
6. Con una notizia falsa puoi fare danni veri.
Le autorità hanno dovuto dedicare tempo ed energie a smentire le bufale, distogliendo attenzione e risorse dalle indagini e dai soccorsi. Le bufale hanno creato sfiducia verso le fonti ufficiali, ostacolando le operazioni di emergenza.
7. Call to action: I tiranni sanno che oggi vince chi racconta meglio, non chi dice la verità.
Come possiamo applicare tutto questo in azienda?
Ecco il kit del perfetto disgregatore:
1. Il potere del sopracciglio
Quando qualcuno propone un'idea, alza il sopracciglio destro, sospira rumorosamente e poi mormora: "Interessante... però…non so”. E basta, non dire più niente, è già sufficiente per rovinare un brainstorming. Qualsiasi cosa aggiungerai non sarai più forte di quel “"Interessante... però… non so”. E’ un Lorem Ipsum a cui il nostro cervello è totalmente incapace di reagire. Neanche Yuval Noah Harari che ha pippato Chatgpt ce la farebbe.
2. Il copy giusto: anima le riunioni con espressioni che facevano ridere nel 2014.
Esempi: “Chiedo per un amico”, “Anche no”, "Mi taccio" e poi ridi come se fossi alla prima edizione di Zelig nel 1996, guardando gli altri che a stento alzeranno un angolo della bocca. E’ su quell’angolo che vedrai l’insensatezza del tuo potere.
3. Dai una motivazione nobile al tuo sabotaggio.
Prima di ogni sabotaggio vai in bagno, fai una battuta simpatica e non richiesta all’addetto alle pulizie che sarà a costretto a ridere perché pensi che sei importante e poi ripeti allo specchio: “Non stai tramando alle spalle dei tuoi colleghi, stai proteggendo l'azienda.” “Non stai seminando discordia, stai preservando l'etica professionale.” Ogni volta che metti in giro una voce, ragiona come Sant'Ignazio di Antiochia. Fu un vescovo della Chiesa primitiva che fu gettato alle fiere durante la sua prigionia. Cosa vuol dire? Devi ragionare come un martire. Quando calunni qualcuno aggiungi un tocco da martire tipo: "Io non volevo dirlo, ma mi sentivo in dovere…"
4. Diffondi immagini suggestive (senza nemmeno aprire Canva).
Se vuoi distruggere uno spirito di squadra, non serve l'intelligenza artificiale: basta mandare nel gruppo WhatsApp una foto del CEO presa dalle sue stories in qualsiasi momento di riposo oppure mentre è al mare il 15 agosto. Poi scrivi sotto una banalità tipo "E’ tempo di sacrifici". Usa l’emoji 🤣della risata a crepapelle che ti ricordo dopo i 14anni è illegale in 190 paesi nel mondo
5. Dopo ogni progetto usa un silenzio passivo-aggressivi.
I talenti migliori si licenzieranno per lavorare in un posto più sano lasciando il terreno libero per sfoderare la tua aggressività ovunque. Nel giro di 30-40 call ti ritroverai da solo in azienda a farti silenzi passivo-aggressivo allo specchio, tipo Travis Bickle di Taxi driver. Rispetto a De Niro che era partita iva tu lo farai in ufficio col tuo nuovo abito nero di Doppelgänger.
I tiranni moderni hanno capito che oggi vince chi divide, chi sospetta, chi si difende a spada tratta. Ma chi costruisce fiducia vera, alleanze vere, team che resistono alle paranoie, quando la scala applicativa si abbasserà, dalle istituzioni alle aziende, dalla politica alla vita civile, sarà l’unico ad avere carte vere in mano. Be ready and ask for a friend!
Ci sono testi che fanno ridere, e testi che fanno pensare. Antonio è riuscito a fare entrambe le cose, con un’agilità rara. Il suo decalogo del “disgregatore aziendale” è paradossale, ma più realistico di tante slide sulla cultura organizzativa.
E se abbiamo sorriso leggendo del “sopracciglio killer” o della foto del CEO in spiaggia, sappiamo bene che dentro ogni battuta si nasconde una verità operativa: chi semina sfiducia, anche inconsapevolmente, frena l’ingranaggio collettivo. Per questo costruire alleanze e fiducia oggi non è un gesto buonista: è un atto di leadership.
Grazie Antonio, e a chi ha letto fin qui: ricordiamoci che la collaborazione è fragile, ma anche contagiosa.
Antonio Losito è un amico ma anche. autore, copywriter e storyteller con una spiccata inclinazione per l’assurdo che ci circonda. Ha scritto per programmi LOL, Gialappa’s, una pezza di Lundini Ha pubblicato un libro di grande successo che si intiitola “Diventa un tiranno”. Collabora con progetti editoriali e brand che vogliono comunicare in modo intelligente, ironico e mai banale. Al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia ha portato alla ribalta i meccanismi della disinformazione digitale, dimostrando come oggi le storie (anche quelle false) abbiano più potere dei fatti.
Racconta il presente con la penna affilata e lo sguardo lucido di chi sa che ridere è un modo serio di pensare.
Non serve vedere lontano per avere una visione. Serve ascoltare chi ha imparato a fidarsi del proprio passo. Daniele Cassioli al podcast della Grande Differenza.
Ho avuto il piacere di intervistare Daniele Cassioli per il mio podcast.
Atleta paralimpico, scrittore, divulgatore, ma soprattutto una persona che ha saputo trasformare il limite in spinta, e la difficoltà in sguardo.
Abbiamo parlato di sport, certo. Ma anche di lavoro, di fiducia, di collaborazione.
E di quanto sia potente l’idea di non dover sempre “essere i migliori”, ma di poter essere utili agli altri.
È stata una conversazione che mi ha lasciato consapevole e sereno.
Perché la voce di Daniele non insegna.
Ma risuona. Eccome.
Potete ascoltare l’episodio su Spotify
Se ti stai chiedendo come affrontare tutto questo casino senza diventare un cinico o alzare bandiera bianca, respira. Non sei solo. Davvero.
Questa newsletter? È solo l'inizio. Un punto di partenza che puoi condividere con quel collega che stamattina ha lo sguardo perso nel vuoto. Sì, proprio lui. Quello che non parla più alle riunioni.
Perché succede qualcosa di strano quando una persona si sente vista: si riaccende. Come una lampadina. Click.
E magari oggi - proprio OGGI - è il giorno giusto per iniziare.
Abbiamo navigato insieme queste pagine. Come marinai improvvisati. Come astronauti dilettanti.
La "grande differenza" non è nascosta in qualche formula magica custodita nella cassaforte di un guru. Non è un modello da copiare. Non è una slide da scaricare.
La trovi nel gesto di chi abbassa il telefono quando parli. Nella voce tremante di chi dice "forse possiamo fare meglio". Nel sorriso testardo di chi, davanti al caos, alza le spalle e dice "vediamo come va".
Perché il lavoro - quello vero - è questo assurdo esperimento umano dove lasciamo impronte. Impronte che nessuno potrà mai copiare.
Come quelle sulla sabbia. Uniche. E destinate a scomparire.
Ma intanto, ci sono state.
A presto.
Sebastiano
Qualsiasi feedback è apprezzato.
"Le mie storie sono scritte da un uomo che sogna un mondo migliore, più giusto, più pulito e generoso. Le mie storie sono scritte da un cileno che sogna di veder realizzato in questo paese il sogno più bello, quello di sederci tutti con fiducia alla stessa tavola, senza la vergogna di sapere che gli assassini di coloro di cui sentiamo la mancanza non ricevono il giusto castigo. [...]
Il sogno si concretizzerà il giorno in cui sapremo dove sono coloro di cui sentiamo la mancanza, perché scoprendolo la nostra memoria non avrà più aperte le ferite dell'incertezza, il balsamo della giustizia s'incaricherà di chiuderle e potremo continuare a sognare, perché solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo ad essere migliori, e se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo."
LUIS SEPÙLVEDA, Il potere dei sogni (Guanda 2006).