Essere "Persone Medicina" è un ottima idea.
La fatica di rimanere razionali, sentimentali e umani e mentre fai tutto quello che devi in un mondo che collassa.
Bentrovati!
In questo viaggio di riflessioni, esploriamo la speranza, la collaborazione, il significato del lavoro e l'importanza delle relazioni personali, invitando a ritrovare la scintilla interiore per una vita piena di significato. In questo senso uso il concetto di “Persone Medicina” che mi ha colpito.
Indice:
Speranza e Collaborazione
L'essenza della speranza e il ruolo della collaborazione nel nutrirla.
Lavoro, Passione e Collaborazione
Una nuova prospettiva sul lavoro, superando il mito della passione e valorizzando la collaborazione.
Relazioni Personali e Benessere
L'importanza delle relazioni fiduciarie per il benessere emotivo e la ricerca della felicità.
Cosa serve per vivere bene.
Il sogno di Bill Niada a “Rust Never Sleeps”.
Buona lettura.
“Nonna le chiamava "persone medicina"
Diceva che ci sono persone che quando le guardi guarisci
Che appena le senti calmano i battiti
Aggiustano i polsi
Ti aprono le persiane del cuore e fanno entrare la luce vera
Quella del sole”
Inizio con un regalo ricevuto da una cara amica, Mapi Danna, che con la sua sensibilità mi ha fatto conoscere questo brano di Gio Evan, talentuoso e sensibile artista.
Vi riporto parte del testo per comodità. Ma credo che valga la pena ascoltarlo.
Siamo quasi mille e se pensate che a qualcuna o qualcuno questa newsletter possa essere utile inoltratela. Grazie.
La sfida è continuare a credere.
Nasce prima la gioia di vivere o la speranza?
Sei troppo vecchio per non sperare di potere sperare. Lo sai.
Sei troppo giovane per non avere gioia di vivere. Lo senti.
Cosa cerchi e che vie imboccherai ?
Cosa hai imparato da tutte strade senza sbocco che hai percorso?
Nulla di specifico.
Forse qualcosa in generale.
Che gira e rigira, tutto ricade sotto la coperta della parola “speranza”.
Tira via la speranza e diventi un insieme di atomi incoerenti, senza direzione e senza struttura.
L’unica cosa rimasta nel vaso di Pandora è la medicina per non crepare senza avere provato a realizzare la tua magia.
Leva la speranza e la tua volontà si dissolve come una macchia in lavatrice a novanta gradi.
Cancella la speranza e diventi un budino d’intenzioni che si scioglie appena lo tiri fuori dal frigo delle abitudini comode ma strette.
Sperare risolve il dubbio del non essere al posto giusto.
Sperare sistema l’angoscia di essere sempre fuori tempo.
Ma dove sta la speranza?
Come nasce?
Come mai c’è chi ce l’ha e chi no?
E perché a volte scompare e tu scompari con lei.
Io non ho tutte queste risposte.
Mi sembra di capire però che la speranza vede cose che tu non riesci a vedere.
Sente messaggi che tu non percepisci.
E’ stimolata da profumi che il tuo naso non coglie consciamente.
Cresce all’apparire di entità o persone che magari nemmeno sai chi sono.
Si palesa in posti e situazioni anomale ed inusuali.
Serve volontà di aprirsi e lasciarsi perforare dai mille spilli della diversità e del fuori campo.
Mollarsi a braccia aperte giù dalla torre che hai sempre abitato.
Chiudere gli occhi e lasciare che l’anima si contorca e prenda il vento che arriva.
Figlia di una ricerca a volte voluta a volte casuale, la speranza è un gioco che dura fino a quando non diventi pauroso.
Sì, perché l’altra faccia della speranza è la paura.
Quando ti sembra che le probabilità siano scarse la speranza si sgretola e diventa timore, paura, terrore, angoscia.
Puoi alimentarla tu questa paura.
Possono alimentarla gli altri.
In ogni caso devi digerire manciate di spine che ti perforeranno il cuore e renderanno amaro o agrodolce ogni sogno di zucchero che il tuo amore per la vita ha immaginato.
Ecco perché è così difficile sperare.
Ma posso dire una cosa?
Che si fottano.
Il problema della speranza devi risolvertelo tu.
Perché devi essere tu disponibile ad avere paura senza mollare.
Avere paura è scomodamente angosciante per chi è cresciuto convinto che se finirà deve finire a modo tuo.
Ed è anche vero che è la scomodità dell’angoscia che ti spinge a sperare ancora più forte.
Un cerchio, ecco cosa dicono le carte che getti sul tavolo della tua partita, lo sperare e l’avere paura dipingono un cerchio che tu percorri senza riuscire a fermarti.
E la sfida è continuare a credere.
Nonostante tutto.
Nonostante tutti.
Per appassionarsi a ciò che si fa, è fondamentale collaborare.
Un mio personale regalo tratto dal nuovo libro.
"Se pensate che il successo professionale derivi esclusivamente dalla passione per il proprio lavoro, preparatevi a un cambio di prospettiva. Estratto dal mio libro 'Lavorare è Collaborare”. Essere insieme e fare insieme nel mondo del lavoro', questo brano passa attraverso una riflessione profonda e spesso trascurata: l'importanza vitale della collaborazione e dell'eccellenza operativa per trasformare qualsiasi attività in una fonte di appagamento e passione. Confrontandoci con la realtà del mercato del lavoro attuale, affrontiamo questioni urgenti come il mito del lavoro per passione, le disparità di genere, la crisi climatica e il bisogno di reinventare il concetto di lavoro in un mondo in rapido cambiamento. Questo non è solo un invito a leggere, ma un appello a riflettere sulla vera essenza del lavoro e su come, insieme, possiamo dare un nuovo significato alla nostra attività quotidiana. Vi invito a unirvi a me in questa esplorazione, per scoprire come la collaborazione possa non solo arricchire il nostro approccio professionale, ma anche rendere il nostro lavoro una fonte genuina di gioia e soddisfazione."
Per appassionarvi a ciò che fate, è meglio un lavoro fatto bene che un lavoro ideale. E per fare bene un lavoro, non si può prescindere dalla collaborazione. Per chiudere il sillogismo, possiamo dire che, per appassionarsi a ciò che si fa, è fondamentale collaborare.
Per chi mi segue, non è una novità. Ne abbiamo già parlato in altri spazi. Ovviamente, essere appassionati di ciò che ci dà da vivere è un grande vantaggio competitivo, ma non è una situazione sempre realizzabile.
È una bellissima cosa, ma la realtà non dà a tutti la possibilità concreta di realizzare questo sogno.
Mi sono accorto che, in tutti gli innumerevoli colloqui e interviste che ho fatto, la maggior parte di chi incita a inseguire i propri sogni è qualcuno che ha già un successo economico e di carriera.
E se si trattasse di un bias?
Fateci caso anche voi. Pensate a chi, almeno una volta nella vita, vi ha chiesto di inseguire la vostra passione. È qualcuno che ce l’ha già fatta?
Il gioco del mercato libero premia alcune soluzioni, ma non tutte. E io me ne sono reso conto dopo tanti anni di marketing e vendita. A volte, semplicemente, ciò che ci piace non piace al mercato e insistere diventa drammaticamente pericoloso. Anche nel lavoro, come nelle relazioni, la passione governa perlopiù la fase dell’innamoramento, mentre lascia il posto a disciplina e rispetto quando le cose si fanno decisamente più serie. In un saggio molto apprezzato degli ultimi anni, Il lavoro non ti ama, l’autrice Sarah Jaffe analizza il ruolo del sistema economico nel convincerci che il lavoro sia il nostro più grande amore. Per Jaffe, invece, non solo le due cose dovrebbero restare auspicabilmente separate, ma svincolarle può essere persino una chiave per decostruire il lavoro e dargli un nuovo senso.
È evidente che abbiamo bisogno del nostro lavoro, che dobbiamo continuare a lavorare per campare. Persino agli artisti, spiriti liberi per antonomasia, tocca lo stesso destino: anche quello più misantropo non vuole altro che essere visto, che essere riconosciuto. “Ma l’amore è troppo grande e bello e incasinato e umano per essere sprecato in un accidente momentaneo della vita chiamato lavoro.”
Secondo la giornalista, il “mito del lavoro” per amore sta cedendo sotto il suo stesso peso, per molti motivi.
Il lavoro non paga più come una volta: gli stipendi sono cambiati, l’inflazione rende la vita sempre più difficile, per i più giovani i progetti a lungo termine sono una chimera, e non sempre per indolenza.
Le ultime generazioni, quelle dei nati fra il 1980 e il 1996 circa, sono parecchio arrabbiate per aver creduto a una serie di promesse fatte loro dagli adulti sin da piccoli. Una volta cresciuti, hanno scoperto che, nella realtà, le cose sono piuttosto diverse da quelle che la precedente generazione gli aveva raccontato. Hanno introiettato una serie di “bugie”: hanno creduto al fatto che a un’iper-specializzazione sarebbe seguito un lavoro sicuro, che avrebbero avuto una pensione certa, che con un po’ più di intraprendenza si sarebbero potuti permettere un mutuo senza attingere ai risparmi dei propri cari. Ne parla Beniamino Pagliaro, giornalista e imprenditore, nel libro Boomers contro Millennials – 7 bugie sul futuro e come iniziare a cambiare, in cui accende una riflessione sul rapporto del nostro Paese con la prossima classe dirigente.
Le rivolte femministe hanno portato alla luce e messo in discussione la ripartizione iniqua degli incarichi e delle responsabilità tra generi, nonché il divario fra gli stipendi di uomini e donne.
Ideali come il raggiungimento della libertà, la possibilità di scelta e la capacità di auto-realizzazione, un tempo strettamente dipendenti dal lavoro, in realtà possono essere conquistati attraverso altre modalità. Lavorare resta centrale, necessario, ma è diventato evidente che non è più il solo mezzo per emanciparsi.
• Anziché essere monopolizzate dalle persone, le attenzioni del mondo del lavoro sono concentrate anche su altre priorità. Una di queste è la crisi climatica che il lavoro stesso ha contribuito a generare, spremendo il pianeta per il profitto. Mentre adesso, per porre rimedio, si ritrova a dover fare esattamente l’opposto: spremere il profitto per il pianeta.
La passione, o l’amore, per il lavoro è una bestia strana: può uscire dalla porta e rientrare dalla finestra. Ci vogliono arguzia, curiosità e parecchi tentativi per capirla, inquadrarla e arginarla, se serve.
Ricordo un produttore di minuteria metallica che, durante una cena, mi disse quanto fosse poco interessato al prodotto che trattava, ma di quanto gli interessasse, invece, la passione che aveva per la sua collezione di auto d’epoca, che pagava con gli introiti della sua azienda.
Il denaro segue le persone, e non necessariamente le attività in cui siamo eccellenti o che ci appassionano.
Se proprio la vostra ambizione è quella di diventare ricchi, dovreste puntare il vostro sguardo verso l’esterno, verso ciò per cui gli altri sono disponibili a pagarvi, e non verso l’interno, verso ciò per cui sareste disponibili a pagare voi.
Questa è una regola che intristisce molti e mette in crisi i predicatori della passione come antidoto a tutti i mali. Non gli resta, quindi, che portare come dimostrazione – e romanticizzare – i soliti casi isolati, e quasi sempre irripetibili, che vanno da Thomas Alva Edison a Joanne K. Rowling, passando per Steve Jobs.
Il tentativo che possiamo fare noi, forse, è provare a ricollocare la passione all’interno dell’equazione.
Propongo di contestualizzarla in questo modo: il lavoro che facciamo potrebbe non essere appassionante, e spesso proprio non lo è, ma i suoi effetti potrebbero esserlo.
Che si tratti di collezionare auto d’epoca, di pagarsi un mese di affitto in un coworking indonesiano o di assicurare i badanti per assistere i genitori anziani. È la ricerca del significato che continua a essere ardua per il mutare delle situazioni economiche, culturali, sociali e tecnologiche e per il mercimonio di una narrativa che, per vendere un po’ di tutto e creare nicchie di mercato di voraci consumatori, ci spinge al “follow your passion”. Finendo, poi, per lasciarci a bocca asciutta mentre, con una pacca sulla spalla, ci ammonisce per non averci creduto abbastanza.
“Adelante, Pedro, si puedes. [...] Pedro, adelante con juicio.” Avanti, amici miei, ma con giudizio e, soprattutto, se possiamo.
ll valore delle relazioni personali come faro di speranza e benessere.
Robert Waldinger, lo psichiatra a capo dello storico Study of Human Happiness di Harvard, ci illumina con una rivelazione sorprendente: avere almeno due persone di fiducia nelle nostre vite può fare una differenza enorme nel nostro benessere emotivo. Ma non è tutto. Esistono altre condizioni fondamentali per raggiungere una vera felicità.
Clicca sul titolo qui sotto per leggere l’articolo.
Cosa serve per vivere bene. Il sogno di Bill Niada.
Ospite a “Rust Never Sleeps” Bill Niada. Una persona da Grande Differenza.
Milanese, imprenditore dal 1983, nel 1996 entra nel settore degli outlet fondando Fifty Factory Store, prima iniziativa del genere in Italia.
Nel 1997, la figlia più grande, Clementina, si ammala e la sua vita è stravolta. Con la moglie Emilia inizia un pellegrinaggio in vari ospedali italiani, europei e americani.
Nel 2004, dopo la morte della figlia avvenuta l’anno prima, crea la “Fondazione Magica Cleme Onlus” allo scopo di far divertire i bambini malati organizzando gite, incontri, spettacoli.
Oggi la sua vita si divide tra la famiglia, la Fondazione che porta il nome della primogenita e il lavoro con la “Fondazione Near” che fa parte del gruppo Near, una società di outlet a domicilio che destina gli utili alle attività e ai progetti sociali.
Grazie per essere arrivati qui. Ogni volta che scrivo questa newsletter è un viaggio per me. Chissà di avervi portato in posti interessanti.
“Non devi perdere la fiducia nell’umanità. L'umanità è un oceano; se alcune gocce dell'oceano sono sporche, l'oceano non si sporca”.
Mahatma Gandhi
Sempre in viaggio per fare la Nostra Grande Differenza.
Grazie
Sebastiano
Dal 1 Marzo è sugli scaffali il mio nuovo libro. Qui una anteprima.
L'intervista a Bill Niada mi aveva veramente colpito, una persona di valore, speranza e saggezza! Ora che lo hai nominato vi riascoltero' volentieri