"Tra generazioni, regole e micro-connessioni: ricostruire il lavoro e la comunità"
Viviamo in un tempo in cui tensioni generazionali e rigidità aziendali mettono a dura prova la collaborazione. Da NYC a casa nostra, esploriamo come creare legami umani in un mondo frammentato.
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Viviamo un’epoca in cui le tensioni generazionali, l’isolamento e la sfida della collaborazione sembrano dominare il panorama del lavoro e della società. Ma cosa accadrebbe se ribaltassimo la narrativa?
La scorsa settimana sono stato a New York City e, ovviamente, ho chiesto a tutti quelli che ho incontrato come sia la situazione lì in termini di capacità di collaborare. Beh, per quello che ho raccolto, se è vero che da noi i trend americani arrivano fra qualche semestre, prepariamoci ad avere molto da fare.
Parlando con diversi giovani professionisti, ho notato una certa riluttanza a collaborare sul lavoro. Molti mi hanno raccontato di sentirsi sotto pressione per mantenere alti livelli di produttività, il che li porta spesso a stress e burnout. Inoltre, danno grande importanza all'equilibrio tra vita personale e professionale; di fronte a richieste lavorative eccessive, preferiscono tirarsi indietro per non compromettere questo equilibrio.
Alcuni hanno espresso una sensazione di instabilità e mancanza di supporto nelle loro aziende, il che li rende meno motivati a collaborare con colleghi e superiori. C'è anche chi desidera maggiore autonomia e flessibilità, preferendo lavorare in modo indipendente piuttosto che inserirsi in strutture collaborative tradizionali.
Un altro aspetto emerso è il disallineamento tra i valori personali e quelli aziendali; quando percepiscono una discrepanza, tendono a non impegnarsi in iniziative collaborative. Esperienze negative passate in team, caratterizzate da conflitti o inefficienze, li scoraggiano ulteriormente dal partecipare a future attività di gruppo.
Infine, alcuni ritengono che le dinamiche di gruppo possano rallentare i processi o non aggiungere valore significativo, preferendo quindi lavorare da soli. La percezione che i colleghi non abbiano le competenze necessarie alimenta questa tendenza all'autosufficienza. In ambienti di lavoro che non promuovono la diversità e l'inclusione, si sentono alienati e meno propensi a collaborare.
Insomma, sembra che ci siano diverse sfide da affrontare per promuovere una cultura della collaborazione tra i giovani lavoratori americani ( o meglio di NYC ). Se queste tendenze dovessero arrivare anche da noi, sarà importante prepararsi adeguatamente. Io nel frattempo non mollo e continuo a mettere in fila suggerimenti, analisi, spunti e strumenti.
In questa newsletter esploriamo tre temi profondamente legati:
"I giovani non vogliono lavorare" VS "I vecchi ci hanno rovinato": il mito da sfatare
Perché queste frasi sono una semplificazione che non aiuta a costruire un dialogo tra generazioni?La strategia del micro-contatto: connessione autentica nel mondo iperconnesso
Come piccoli gesti possono rafforzare le relazioni personali e professionali.Il ritorno alla centralità dell’uomo nel lavoro e nella società
Perché la collaborazione è la chiave per superare le sfide complesse del presente.
Buona lettura.
E se pensi che siano temi che qualcuno può trovare utili … condividila.:)
A proposito di collaborazione. Iscrizioni aperte. In arrivo a febbraio:)
"I giovani non hanno voglia di lavorare" VS "I vecchi ci hanno rovinato": perché entrambe le frasi sono sbagliate
Oggi mi sono imbattuto in un Reel su Instagram che mi ha fatto riflettere profondamente. Nel video, alcuni giovani criticavano aspramente la generazione dei loro genitori per aver beneficiato dell'impennata del mercato immobiliare.
I numeri sono chiari: quarant'anni fa, con uno stipendio medio di 13.200 euro, una casa di 100 metri quadri costava circa 85.000 euro. Oggi, con uno stipendio medio di 19.000 euro, la stessa casa supera i 180.000 euro. (Fonte Will Media)
Vero è che negli ultimi 70 anni, ogni generazione ha dovuto affrontare sfide che sembravano insormontabili:
· La generazione del dopoguerra (anni '50) ha dovuto ricostruire un paese in macerie, spesso con famiglie decimate e risorse praticamente inesistenti
· I loro figli (anni '60-'70) hanno attraversato gli anni di piombo, l'austerity, l'inflazione a doppia cifra e la minaccia costante della guerra fredda
· La generazione successiva (anni '80-'90) ha vissuto la de-industrializzazione, la perdita di milioni di posti di lavoro "sicuri" e l'necessità di reinventarsi completamente
· I Millennial hanno affrontato due crisi economiche (2008 e 2011), una pandemia globale, la guerra in Ucraina e un'inflazione ai massimi da 40 anni
Ogni epoca ha le sue crisi, le sue sfide, i suoi ostacoli apparentemente insuperabili.
Non è una gara a chi ha sofferto di più. Per la prima volta nella storia recente, ripeto recente, una generazione rischia di essere meno ricca della precedente, questo è un fatto.
Ma proprio per questo, invece di alimentare un conflitto intergenerazionale, dovremmo imparare dalla resilienza di chi ci ha preceduto e dalla capacità di innovazione di chi sta emergendo ora.
Forse è il momento di fare un passo indietro e guardare il quadro completo.
La storia dell'umanità è costellata di sfide epocali. I nostri nonni hanno affrontato guerre mondiali, i nostri genitori crisi economiche devastanti, noi una pandemia globale. Ogni generazione ha dovuto confrontarsi con le proprie montagne da scalare.
Immaginate il tempo come una lunga linea retta: a un'estremità il passato, all'altra il futuro. È naturale che le generazioni più giovani, trovandosi più vicine al punto "futuro", abbiano una visione più nitida delle tendenze emergenti, delle nuove tecnologie, dei cambiamenti sociali in arrivo.
Allo stesso modo, le generazioni più mature, essendo più vicine al punto "passato", hanno una comprensione più profonda delle lezioni della storia, dei cicli economici, delle dinamiche che si ripetono. Non è una questione di "giusto o sbagliato", ma di prospettiva naturale: ognuno vede più chiaramente la parte di orizzonte temporale che gli è più vicina.
Ed è proprio questa complementarietà di visioni che rende il dialogo intergenerazionale non solo utile, ma essenziale per navigare il presente.
Ma cosa stiamo facendo oggi?
Vedo Millennials che puntano il dito contro i Baby Boomer per il cambiamento climatico e il mercato immobiliare inaccessibile.
Vedo la Gen x che critica la Gen z per la sua presunta "fragilità" e "mancanza di dedizione al lavoro".
Mi chiedo: questo scambio di accuse a cosa ci porta?
E se immaginassimo un possibile futuro distopico, non così lontano dalla realtà? Provo a fare il futurologo anche se non sono propriamente titolato, ma ci provo.
Un 2040 dove il divario generazionale è diventato una frattura insanabile. Le città sono divise in zone per fasce d'età, con barriere fisiche e digitali.
I giovani hanno creato economie parallele basate su criptovalute e realtà virtuale, rifiutando completamente il sistema precedente. Gli over 50 controllano ancora le leve del potere tradizionale, ma sono isolati in comunità chiuse, aggrappati a un mondo che sta svanendo.
Le aziende sono diventate campi di battaglia generazionali: da una parte startup composte solo da under 30 che rifiutano qualsiasi "contaminazione" con l'esperienza passata, dall'altra corporation tradizionali che non assumono più giovani per "preservare la cultura aziendale".
Il risultato? Un'economia e un società frammentata, litigiosa, inefficiente, dove la conoscenza non fluisce più tra generazioni.
Magari fantascienza, lo ammetto, ma forse qualcosa di plausibile c’è.
La soluzione non sta nel dividerci, ma nel ricordare che siamo tutti parte della stessa storia umana.
Pensiamo a questo:
· I veterani portano esperienza, resilienza e conoscenza dei processi
· I giovani talent portano innovazione, agilità digitale e nuove prospettive
· La Gen X fa da ponte, con la sua capacità di mediare tra tradizione e cambiamento
È tempo di sostituire il "noi contro loro" con un "noi con loro". La "noitudine " di cui scrivo in "Lavorare è collaborare".
La storia ci dimostra come la collaborazione intergenerazionale, anche caratterizzata da ampi divari d'età, abbia portato a risultati straordinari in diversi campi.
Sarò sleale e un po’ americaneggiante e porterò un esempio fuori luogo. Il leggendario cantante Tony Bennett, nato nel 1926, ha collaborato con Lady Gaga, nata nel 1986, realizzando l’album “Cheek to Cheek” nel 2014 e non solo.
Al momento della prima collaborazione, Bennett aveva 88 anni e Lady Gaga 28, con una differenza d’età di 60 anni.
Questa partnership ha unito l’esperienza del jazz di Bennett con la versatilità pop di Lady Gaga, ottenendo un enorme successo.
In effetti molti di noi non sono né Lady Gaga né Tony Bennet, per questo parlavo di slealtà.
Ed è proprio qui il punto: la sfida è ancora più importante per noi "persone comuni". In un mondo sempre più competitivo e complesso, non possiamo permetterci il lusso della conflittualità generazionale. Al contrario, dobbiamo sviluppare una mentalità imprenditoriale, indipendentemente dal nostro ruolo o età.
Quando siamo consumatori, cosa chiediamo alle aziende e ai professionisti che ci servono? Competenza, innovazione, capacità di risolvere problemi, attenzione al cliente. Non ci interessa l'età di chi ci serve, ma il valore che sa generare.
Certo, è più comodo quando sei il cliente. Per questo allo stesso modo, per la stessa dinamica nel lavoro, dovremmo concentrarci su:
· Diventare insostituibili attraverso competenze uniche
· Sviluppare la capacità di aggiungere valore concreto
· Coltivare una mentalità imprenditoriale, anche come dipendenti
· Vedere ogni interazione intergenerazionale come un'opportunità di crescita
Invece di cercare colpevoli, potremmo:
· Creare programmi di mentoring bidirezionale
· Promuovere team intergenerazionali
· Valorizzare i punti di forza di ogni generazione
· Costruire una cultura del rispetto reciproco
In fondo, non stiamo parlando di "giovani" contro "vecchi", ma del futuro dell'umanità. Un futuro che possiamo costruire solo insieme.
La strategia del "micro-contatto" e altri facili
modi per rimanere umani e meno soli.
Ho osservato, nel corso degli anni, come la solitudine si sia infiltrata silenziosamente nelle nostre vite, mascherata da autonomia e indipendenza.
È come un fiume carsico che scorre sotto la superficie della nostra società iperconnessa, emergendo nei momenti più inaspettati.
Spesso, nel mondo aziendale, ho incontrato professionisti brillanti che hanno costruito fortezze di competenza intorno a sé.
“Non ho bisogno di nessuno".
"Il mio lavoro parla per me".
Ma è proprio qui che si nasconde il paradosso: più diventiamo competenti, più rischiamo di isolarci.
LinkedIn, Teams, Zoom - strumenti potenti, certo.
Ma come il caffè decaffeinato, offrono l'illusione della connessione senza la sua vera essenza.
Ho notato che le persone più resilienti nel nostro ambiente sono quelle che hanno saputo bilanciare la tecnologia con l'autenticità delle relazioni personali.
Ok. Facile da capire. Difficile da praticare.
Come le diete direi.
Ho praticato negli anni quella che chiamo la "strategia del micro-contatto": piccoli, ma significativi momenti di connessione autentica. Può essere un caffè con un collega, una telefonata spontanea, un pranzo non programmato.
Sono questi momenti apparentemente insignificanti per i duri e puri calvinisti del
management del “io sò io e voi non siete…” che costruiscono il tessuto delle relazioni durature.
Inoltre aggiungerei :
1. La regola dei 5 minuti: Prima di ogni riunione online, dedicare 5 minuti a conversazioni non lavorative. Ho visto team trasformarsi grazie a questa semplice pratica.
2. Il principio della vulnerabilità strategica : Condividere occasionalmente le nostre sfide. Non per mostrare debolezza, ma per creare connessioni autentiche.
3. L'approccio del mentoring reciproco: Creare opportunità di scambio di competenze. Ho scoperto che quando insegniamo qualcosa, di solito riceviamo molto più di quanto diamo ( lo so, serve fede).
La solitudine nel mondo professionale moderno non è un destino inevitabile, ma una condizione che possiamo attivamente modificare.
La vera sfida non sta nell'aggiungere nuovi impegni alla nostra agenda già sovraccarica - questo lo sappiamo tutti fin troppo bene. Il segreto, se è davvero è poi un segreto, risiede nella capacità di trasformare i momenti che già viviamo in opportunità di connessione più profonda.
Nel complesso mondo del lavoro di oggi non bastano più solo tecnologie, procedure e risorse per costruire imprese di successo: serve uno spirito collaborativo.
Siamo una specie intrinsecamente collaborativa, ma alcuni momenti storici e fenomeni tecnologici ci hanno fatto dimenticare quanto sia cruciale lavorare insieme.
Non si tratta di inventare qualcosa di nuovo, ma di rispolverare questa capacità innata, soprattutto in ambienti complessi come le aziende, dove la collaborazione non nasce spontaneamente.
Ne ho parlato al Festival del Futuro qualche settimana fa a Verona.
Lascio qui una breve intervista sul tema. Clicca.
https://www.sebastianozanolli.com/societa-e-lavoro-5-0-il-ritorno-alla-centralita-delluomo/
Care amiche e cari amici,
siamo davvero numerosi, e questo testimonia il crescente interesse per temi fondamentali come la collaborazione sul lavoro. Riscoprire e valorizzare i legami tra colleghi diventa sempre più cruciale.
Desidero esprimere la mia profonda gratitudine per il vostro continuo sostegno. La vostra partecipazione è essenziale. La vostra fiducia mi ispira quotidianamente a proseguire con passione e dedizione.
Adriano Olivetti, pioniere dell'industria italiana, affermava: "Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare."
Mi piace pensare che questa riflessione ci inviti a superare l'ipocrisia di chi predica bene e razzola male, a tutti i livelli della società.
Per costruire un ambiente di lavoro autenticamente collaborativo, è fondamentale che le azioni rispecchino le parole, promuovendo coerenza e integrità.
Solo così possiamo creare un contesto in cui ogni individuo si sente valorizzato e parte integrante del successo collettivo.
Grazie di cuore per essere parte fondamentale di questa avventura.
Sempre in viaggio per fare la nostra Grande Differenza.
Grazie
Sebastiano
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"Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare."
Adriano Olivetti