A 50 anni con i piedi nel fango: il difficile passaggio dal Q2 al Q3
Quando ti accorgi di aver corso per vent'anni in una direzione e ora devi cambiare.
Hai corso per decenni, non per arrivare da qualche parte, ma per non farti sorpassare. Per non sentirti dire che non ce l'avevi fatta. Per non deludere tua madre, il tuo capo, persino i vicini di casa. E adesso? Adesso il motore gira a vuoto, la strada è finita e non sai nemmeno dove parcheggiare.
Hai il conto in banca, la carriera, la famiglia "perfetta", ma ti guardi allo specchio e ti chiedi: "Ma questo chi è?"
Il buco nello stomaco che non aveva nome
Ho ricoperto ruoli apicali in un'azienda che mi ha dato tutto: crescita, opportunità, relazioni che porto ancora nel cuore. Gli ultimi sei anni li avevo dedicati all'Employer Branding e alle Risorse Umane, sempre nello stesso gruppo. Un'esperienza fenomenale, davvero. Non stavo scappando da qualcosa di brutto, stavo scegliendo qualcosa di mio.
Intorno ai cinquant'anni però qualcosa ha iniziato a muoversi dentro. Un cerchio alla testa che non se ne andava mai. Un buco allo stomaco che si faceva sentire soprattutto la sera, quando finalmente mi fermavo. Il riposo non era mai davvero riposo.
Non era infelicità perché ero felice nel mio lavoro, almeno così mi ricordo, lo facevo bene, mi dava soddisfazioni. Ma c'era una domanda che mi ronzava in testa: invecchiando, sarò sempre il front man che serve? Quanto tempo ancora avrei potuto sostenere questo ritmo, questo ruolo, questa versione di me?
Ero entrato in una terra di nessuno. Il territorio del "non più ma non ancora", dove sai che non puoi più tornare a chi eri, ma non sai ancora chi stai diventando. Un posto scomodo dove cerchi disperatamente appigli, certezze, una mappa che non c'è.
La consapevolezza è arrivata gradualmente. Era come accorgersi che il vestito che avevi sempre indossato con orgoglio ora ti stava stretto in punti che prima non notavi. La formazione, il mentoring, la consulenza quello mi dava energia. Quando parlavo con le persone, quando le aiutavo a vedere le cose diversamente, quando condividevo quello che avevo imparato in vent'anni di management.
A cinquantasei anni ho preso la decisione. Sono grato all'azienda per tutto quello che mi ha dato, ma sentivo che era arrivato il momento di diventare solo quello che mi riusciva meglio: un professionista della formazione e della consulenza.
Quel periodo di scelta lo ricordo come molto doloroso. Devi abitare quello spazio scomodo tra le montagne, quel pantano dove non hai più le coordinate di prima ma non hai ancora quelle nuove. Devi succhiarti il tuo dolore e malessere, restare lì abbastanza a lungo per capire davvero cosa vuoi diventare.
Il gioco è lì. Non nella destinazione, ma nella capacità di attraversare quella terra di nessuno senza fuggire.
Il nuovo scenario: da tre a quattro quarti
Nel 1950, un bambino aveva l'1% di possibilità di arrivare a 100 anni. Un bambino nato oggi ha il 50% di possibilità di superare quel traguardo. Non si tratta più di fantascienza demografica, ma di pianificazione necessaria.
Avivah Wittenberg-Cox1, esperta di nuove dinamiche demografiche che negli ultimi mesi sto esplorando sempre con più attenzione dato anche il grande interesse che giustamente suscita, ha proposto una lettura che sto cercando di diffondere in Italia: la vita non si divide più in tre fasi (studio-lavoro-pensione), ma in quattro quarti di 25 anni ciascuno.
Q1 (0–24 anni): Si impara.
Q2 (25–49): Si costruisce.
Q3 (50–74): Si sceglie.
Q4 (75–100): Si trasmette.
È una rivoluzione silenziosa che sta già accadendo. Il modello a tre fasi, quello su cui i nostri genitori hanno costruito le loro vite, si sta sgretolando sotto il peso della matematica. Mario, nato nel 1955, ha lavorato 40 anni e conta di vivere 10-15 anni di pensione. Chiara, nata nel 1995, se va in pensione a 67 anni avrà lavorato 42 anni ma vivrà probabilmente 33 anni di pensione. Ha poco più di un anno di lavoro per finanziare ogni anno di riposo, contro i tre-quattro di Mario.
Il vecchio patto sociale è morto. E con lui, l'idea che si possa correre fino a 67 anni e poi fermarsi.
La difficile arte dell'uscita
Nel 2019, nel mio libro "Alternative", raccontavo la storia dei lottatori di sumo per spiegare quanto sia difficile cambiare strada quando ci si è specializzati in una direzione. Nel sumo, solo uno su dieci ce la fa a diventare sekitori (professionisti). Gli altri nove passano la vita a servire i vincenti, spesso in condizioni di stenti.
La parte interessante è che il centro di allenamento Arashio, tra i più famosi del paese, lo dice chiaramente agli aspiranti: sarà difficile, le probabilità giocano contro di te, ma se non sfonderai in cinque anni avrai comunque una preparazione al sacrificio che ti servirà in qualsiasi carriera. Eppure, la maggior parte di chi non riesce a eccellere continua a rimanere nel mondo del sumo, anche se significa una vita da subalterni.
È un esempio perfetto di cosa significhi non avere una exit strategy. Come diceva Lisa Ann, ex pornostar intervistata in un documentario Netflix: "La grande differenza è chiudere con il tuo business prima che il tuo business chiuda con te."
Il Q3 è esattamente questo momento: quando devi decidere se continuare a giocare secondo le regole del Q2 o se è arrivato il momento di cambiare gioco. Non perché hai fallito, ma perché sei abbastanza saggio da capire che alcuni giochi hanno una data di scadenza.
Il Q3 non è necessariamente un premio automatico né una battaglia epica. È una fase della vita con le sue opportunità e i suoi rischi. È anche il momento in cui tre fattori diventano cruciali:
1. Obsolescenza: Biologica e sociale. A 50 anni non hai le stesse energie di quando ne avevi 30, e alcune competenze perdono valore. Ma la domanda non è "ce la farò ancora?", è anche "lo vorrò ancora?"
2. Volatilità: Il trader e il dentista hanno rischi diversi. Se il tuo lavoro è volatile, la tua exit strategy sarà una via di fuga. Se è stabile, sarà un'uscita trionfale. Ma entrambi devono averci pensato prima.
3. Valori: Audrey Hepburn a 30 anni ha smesso di fare commedie romantiche redditizie per dedicarsi all'UNICEF. Non era economicamente la scelta migliore, ma era quella giusta per i suoi valori.
Ma c'è anche una buona notizia che arriva dalle neuroscienze. Il cervello che invecchia non declina semplicemente: si trasforma. Daniel Levitin, nel suo "Successful Aging"2, dimostra come dopo i 50 anni si sviluppino capacità superiori in aree cruciali.
L'intelligenza cristallizzata, quella basata sull'esperienza e sul riconoscimento di pattern, prende gradualmente il sopravvento su quella fluida. Il cervello più maturo eccelle nella "completezza percettiva". I cervelli più anziani sono statisticamente migliori nel riempire i dettagli mancanti. Beh, mi sembra ragionevole.
Non solo. Con l'età si disattiva parzialmente l'amigdala, riducendo paura e ansia. Si sviluppa maggiore compassione, tolleranza, capacità di perdono. È come se la natura ci stesse preparando per qualcosa di diverso dal semplice accumulo competitivo.
Per molti, è proprio intorno ai cinquant'anni che iniziano a "vedere prima degli altri". Non perché abbiano acquisito poteri magici, ma perché il loro cervello è letteralmente cablato per riconoscere pattern complessi e prendere decisioni migliori su questioni umane difficili.
Ma attenzione: questi vantaggi non sono automatici. Sì, l'intelligenza cristallizzata migliora, ma può trasformarsi in rigidità se non rimani curioso. La "completezza percettiva" può diventare presunzione se inizi a vedere solo quello che vuoi vedere. E la riduzione dell'ansia può portare a compiacenza pericolosa.
Non è "il cervello è cablato per decisioni migliori", ma "il cervello potrebbe essere cablato per decisioni migliori, se sei disposto a mettere in discussione alcuni dei circuiti che hai usato finora".
A volte il Q3 significa semplicemente applicare le tue competenze in modi nuovi. A volte significa cambiare settore ma mantenere il ruolo. A volte significa rimanere dove sei ma con motivazioni diverse. Non esiste una formula unica.
Ma prima di arrivare a questa fase di maggiore chiarezza, c'è spesso un momento molto più confuso. Più difficile da raccontare.
Le due crisi: privilegio contro necessità.
La crisi di mezza età tradizionale, quella dei quarant'anni, è spesso un privilegio di classe. È per chi può permettersi l'introspezione, per chi ha abbastanza sicurezza economica da fermarsi a chiedersi: "È questo quello che voglio davvero?"
Ma chi a quarant'anni era ancora alle prese cone le rate del mutuo, ai figli piccoli, al lavoro che non puoi permetterti di perdere? Chi aveva ancora troppe responsabilità concrete per potersi permettere di rallentare?
Per molti, la vera crisi arriva più tardi. È quello che è stato definito "three-quarter-life quandary"3 – la crisi dei tre quarti di vita. È una crisi ritardata che colpisce persone che non hanno mai avuto il lusso di fermarsi a riflettere a 40 anni.
È il momento in cui si alza la testa per la prima volta e ci si accorge che, per anni, si è vissuto secondo una logica che ora non funziona più. Non necessariamente perché si è corso "nella direzione sbagliata", ma perché quella direzione, che aveva senso a 30 anni, a 50 non ha più lo stesso significato.
Conosco persone che a cinquant'anni hanno tutto: posizione, carriera, competenza. Ma non riescono più a rispondere alla domanda: "E adesso? Cosa mi motiverà veramente per i prossimi vent'anni?"
Il pantano tra le montagne
David Brooks, nel suo "The Second Mountain"4, chiama questo momento "la valle". Ma è un'immagine troppo poetica. Non è una valle meditativa; è un pantano. Un luogo dove il successo apparente si rivela un miraggio e le sicurezze costruite su sabbia iniziano a cedere.
È lì che ti accorgi che il modello che hai seguito per vent'anni costruire, accumulare, dimostrare non ti dà più le stesse soddisfazioni. Non è che hai necessariamente "dato tutto agli altri". È che la logica del Q2, quella del costruire e del non fermarsi mai, a un certo punto smette di funzionare.
Il Q2 non è solo "si costruisce". È una fase della vita con le sue regole: obiettivi chiari, misure di successo definite, una strada relativamente tracciata. E adesso la domanda non è più "dove stavo andando?", ma "perché questa strada non mi dice più niente?"
A volte la risposta è semplice: hai raggiunto quello che volevi raggiungere. E ora? A volte è più complessa: ti accorgi che stai seguendo una mappa disegnata da qualcun altro, o da una versione di te che non esiste più.
La verità scomoda: quando il modello smette di funzionare
Si arriva a un punto in cui si capisce di aver ottimizzato tutto secondo le regole del Q2. Ma quelle regole, a 50 anni, possono sembrare improvvisamente obsolete.
Non è necessariamente esaurimento. A volte è semplicemente la constatazione che il gioco che stavi giocando bene non ti diverte più. La promozione che avresti voluto a 35 anni, a 50 ti sembra solo più responsabilità. Il riconoscimento che cercavi non ti fa più lo stesso effetto.
È come essere diventati bravi in uno sport e accorgersi che non ti piace più giocare. Non hai sbagliato nulla. Semplicemente, sei cambiato tu.
È un passaggio scomodo ma necessario. Perché in quel momento si decide se restare aggrappati alle logiche del Q2, cercando di dimostrare ancora di essere quello che si era a trentacinque anni, o se finalmente concedersi il lusso di fermarsi.
Di ascoltarsi e di ricominciare da una domanda nuova.
La domanda non è più: "Come faccio a non deludere?" Ma: "Chi sono io, veramente?"
È una domanda che nel mondo moderno è diventata cruciale. Per la maggior parte della storia umana, l'identità era determinata da ruoli tradizionali, status ereditato, aspettative familiari. Oggi molti possono costruire una vita che rispecchia i propri valori individuali, i propri desideri, le proprie ambizioni.
Ma questo richiede di sapere chi si è. E spesso, dopo vent'anni passati a correre, non è scontato.
Gli strumenti per uscire dal pantano: il check della mezza età.
Le neuroscienze , come detto, offrono una buona notizia: il cambiamento è possibile a qualsiasi età. Ma c'è anche un approccio più pragmatico per navigare questa transizione, che non richiede necessariamente di "bruciare tutto".
Annie Duke, ex campionessa mondiale di poker e autrice di "Quit", che di recente ne ha parlato nel contesto delle transizioni di carriera5, suggerisce tre domande che possono aiutare a fare questo check della mezza vita:
1. "Cosa so? E cosa non so?" Invece di chiederti "Cosa succederà?", concentrati su quello che sai. Sai che hai competenze accumulate in vent'anni. Sai che il mondo del lavoro sta cambiando. Sai che hai ancora 20-25 anni di vita professionale davanti. Quello che non sai è come si evolverà il tuo settore o cosa ti motiverà tra dieci anni. Ma puoi pianificare basandoti su quello che sai.
2. "Cosa dovrebbe essere vero perché io continui su questa strada?" Roger Martin, nel mondo del business e dell'innovazione, chiama questo il framework "What would have to be true"6 - ma può anche essere utile per le decisioni di vita. Invece di chiederti "Dovrei continuare?", definisci le condizioni minime che renderebbero sensato continuare. Per esempio: "Entro la fine dell'anno dovrei sentire di nuovo entusiasmo per i progetti che faccio" o "Dovrei intravvedere un percorso di crescita che mi motiva".
3. "Dove posso essere utile agli altri adesso?" Non stai ricominciando da zero. Hai un mosaico di competenze, esperienze e conoscenze uniche. La domanda non è "Cosa voglio fare?", ma "Dove posso creare valore combinando quello che so in modi nuovi?"
Non è necessariamente una demolizione. A volte è semplicemente una ricalibratura.
Le “Big 5 Questions”: l'alfabetizzazione finanziaria per vite da 100 anni
Ma c'è anche una dimensione più concreta. Lynda Gratton e Andrew Scott, in "The 100-Year Life"7, suggerivano le "Big 5 Questions" finanziarie che chiunque dovrebbe saper rispondere prima di fare scelte importanti:
Se hai 100 euro in banca al 2% annuo, quanto avrai dopo 5 anni?
Se l'inflazione è al 2% e il tuo interesse all'1%, dopo un anno potrai comprare di più, di meno, o uguale?
Comprare azioni di una singola azienda è più sicuro di un fondo diversificato?
Un mutuo a 15 anni ha rate più alte ma interessi totali minori di uno a 30?
Se i tassi salgono, il prezzo dei bond cosa fa?
Saper rispondere a queste domande non è pedanteria finanziaria: è l'alfabetizzazione di base, minima, per chi deve progettare una vita che potrebbe durare 100 anni. L’alternativa è anche sapere usare bene Chatgpt e chiedere sovente.
Il Q3 come scelta consapevole
Con la giusta attenzione, il Q3 non è una fase di declino da subire, ma un'opportunità da abbracciare consapevolmente. È il momento in cui l'esperienza accumulata, la stabilità emotiva acquisita e la liberazione dai vincoli del "non deludere" si combinano per permettere scelte più autentiche.
Non significa necessariamente rivoluzionare tutto. Può significare rimanere nello stesso lavoro ma con una motivazione diversa. Può significare usare le stesse competenze ma per uno scopo più significativo. Può significare smettere di correre e iniziare a camminare con più consapevolezza.
L'economista del MIT David Autor prevede che l'intelligenza artificiale sostituirà sempre più lavori routinari, anche quelli sofisticati.8 Ma rimarranno essenziali le capacità umane: risolvere problemi complessi, creare innovazione, gestire relazioni interpersonali. Tutte competenze che, guarda caso, migliorano con l'età e l'esperienza.
Il Q3 non è quindi solo una fase di vita personale, ma una necessità evolutiva della società. Abbiamo bisogno di persone che sappiano scegliere bene, che vedano pattern complessi, che bilancino esperienza e saggezza.
Verso il Q4: la preparazione alla trasmissione
E mentre si inizia a padroneggiare il Q3, si intravede già l'orizzonte del Q4: trasmettere. Non come dovere morale, ma come conseguenza naturale di aver trovato qualcosa di valore da condividere.
Le persone anziane che invecchiano con successo, secondo Levitin, sono quelle che resistono al rallentamento e rimangono impegnate. Che trovano modi per trasmettere competenze e conoscenze al mondo. Fare volontariato, unirsi a un club, fare da mentore.
È l'altruismo non disinteressato di cui parla Brooks ( quello della seconda montagna ) : non sacrificio eroico, ma scelta che porta gioia più duratura della felicità. Una gioia che nasce dal vedere altri crescere grazie al proprio contributo.
Non per deludere qualcuno. Quanto per non deludere più sé stessi.
E mentre scrivo queste righe, ripenso a quel buco allo stomaco di qualche anno fa. A quella domanda che mi ronzava in testa: "Sarò sempre il front man che serve?" Ora lo so. La risposta era no.
Non perché non ne fossi capace, magari si può, ma perché avevo qualcos'altro da dare. Qualcosa che nel Q2 non avevo ancora il coraggio di riconoscere completamente. Il pantano tra le montagne non è sparito da un giorno all'altro.
L'ho attraversato un passo alla volta, spesso senza sapere dove stavo andando. Ma ogni passo mi ha portato più vicino a chi sono davvero. Non chi dovevo essere, non chi gli altri si aspettavano che fossi. Ma piuttosto chi sono io
Il passaggio verso il Q3 non è un'evoluzione naturale. È una riconfigurazione. È il momento in cui smetti di seguire le metriche del Q2 e inizi a definire le tue più complesse, meno misurabili, ma finalmente tue.
Non è mai troppo tardi per fermarsi e chiedersi: "Adesso che so cosa so fare bene, cosa voglio davvero fare dei prossimi vent'anni?"
Il tuo cervello è letteralmente programmato per rispondere a questa domanda meglio di quanto non fosse vent'anni fa. Il problema è che devi essere disposto a mettere in discussione quello che hai costruito per capire cosa vale davvero la pena mantenere.
Se siete arrivati fin qui, grazie per il tempo. E se vi riconoscete in qualche passaggio, ricordate: il pantano tra le montagne non è una destinazione. È il posto dove ti fermi a capire quale sentiero vale davvero la pena imboccare per i prossimi venticinque anni.
UN APPUNTAMENTO CON ME E LEONARDO MILANI SU COME LAVORARE IN TEAM “GLI ZERI CHE CONTANO “
E UN APPUNTAMENTO CON ME E CRISTIANO OTTAVIAN ALLA MASTERCLASS SULLA COLLABORAZIONE IN AZIENDA
Per ascoltare l’intervita con i ragazzi di
clicca qui :Successful Aging: A Neuroscientist Explores the Power and Potential of Our Lives
Sebastiano caro, arrivo a leggere adesso e meno male che l’ho fatto! Anche in questo numero arrivi a toccare altezze di pensiero e profondità d’animo meravigliose 😍😍😍 Grazie sempre per quello che fai e, più di tutto, per chi sei 🙏🏼🙏🏼🙏🏼💖💖💖
Gran bell’articolo pieno di contenuti preziosi. Grazie per la condivisione Sebastiano