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Avatar di Francesco Filippelli

Ciao Sebastiano, un aspetto decisivo che spesso resta implicito è la fiducia all'interno del team. Quando c’è fiducia, quella vera, che fa sentire le persone al sicuro, si può essere diretti, essenziali, contribuire senza fronzoli. Nessuno deve “pararsi le spalle”, perché sa che ogni voce sarà ascoltata con rispetto, anche quando è scomoda.

Al contrario, in ambienti dove questa sicurezza manca, le parole si moltiplicano per protezione, per allinearsi, per non esporsi. Non è comunicazione, è sopravvivenza. E in quelle condizioni, non si collabora: si recita.

Le qualità del leader del gruppo fanno la differenza: è disposto ad ascoltare la verità o fa solo finta di fare domande ma vuole una conferma a quello che pensa lui?

E' quello che non sappiamo di non sapere che può metterci seriamente in difficoltà!

In questo contesto, è fondamentale rispettare anche le persone riflessive, che magari non parlano subito ma hanno bisogno di tempo per elaborare. Spesso, proprio da loro arrivano i contributi più lucidi e di valore. A mio avviso, la vera variabile chiave della collaborazione è il clima di fiducia in cui avvengono le conversazioni e la disponibilità del leader ad ascoltare il team.

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Avatar di Stefano

Ci riuniamo, condividiamo slide, facciamo giri di parole e usciamo con la sensazione di aver fatto qualcosa. Ma cosa, esattamente?

Le riunioni moderne sono spesso un esercizio di forma senza sostanza: tante parole, pochi fatti, molte opinioni, scarsa direzione.

In nome della collaborazione, riempiamo calendari con incontri che confondono anziché chiarire, decidono di non decidere, e danno l’illusione del movimento mentre restiamo immobili.

Il risultato? Un’ora rubata al lavoro vero, un’energia che evapora, una frustrazione che cresce.

Parlare per non dire nulla è diventata un’arte sottile.

Ma forse è arrivato il momento di riscoprire il silenzio produttivo, le agende con un solo punto, le decisioni prese e non rimandate.

Riunirsi dovrebbe servire a risolvere, non a rinviare.

E allora la vera domanda è: stiamo davvero parlando per costruire, o solo per riempire il tempo?

Tutto questo mi ha fatto tornare in mente una vecchia poesia, tanto semplice quanto vera, di Charles Osgood:

There was a most important job that needed to be done,

And no reason NOT to do it, there was absolutely none.

But in vital matters such as this, the thing you have to ask

Is WHO exactly will it be who’ll carry out the task?

Anybody could have told you that Everybody knew

That this was something Somebody would surely have to do.

Nobody was unwilling, Anybody had the ability,

But Nobody believed that it was their responsibility.

It seemed to be a job that Anybody could have done,

If Anybody thought they were the one.

But Everybody recognized that Anybody could do it,

But Nobody realized that Everybody wouldn’t do it.

And it ended up that Everybody blamed Somebody

When Nobody did what Anybody could have done.

Nel dubbio, meglio poche parole e molta responsabilità.

Il resto è rumore.

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